La difesa della Vita, l'indifferenza per le vite
Ormai la chiesa cattolica - almeno nei suoi vertici vaticani - ha deciso di abbracciare il dogmatismo più vieto, il fariseismo più radicale. Quello che erige un totem alla Vita (un'astrazione, un'idea, un idolo) e calpesta le vite, quelle reali delle persone: di donne, uomini e bambini. Viva la vita, abbasso l'umanità, ci sarebbe da dire.
L'ultima conferma è arrivata dall'Angelus di oggi, in cui il Papa (che, sia detto fra parentesi, era quello che in Italia non aveva libertà di parola) ha ripetuto e ribadito le solite posizioni
Vale per i malati terminali tenuti aggrappati a macchine sempre più sofisticate e anti-natuale; vale, ancor di più, per la neonatologia che promette di "salvare" non solo i bambini, ma persino i feti. Come hanno annunciato i primari di ginecologia e neonatologia di quattro università romane. Che, per i giornali italiani, sono diventati "i ginecologi": pochi esperti di parte (due università su 4 sono cattoliche, una è dell'Opus Dei) diventano i rappresentanti della comunità scientifica.
Ma un feto di 22 settimana che venga rianimato (anche contro la volontà della madre e del padre) che possibilità di vivere ha? Ma soprattutto che qualità della vita potrebbe teoricamente avere? Persino il comitato di bioetica consiglia, in queste condizioni, solo cure compassionevoli che accompagnino questa creatura verso una serena morte. Che senso ha accanirsi su un feto moribondo, attaccarlo a tubi e macchinari, prolungare la sua sofferenza e magari farlo durare settimane o mesi in più? Magari un feto senza capacità cerebrale, cieco, sordo e affetto da gravissime patologie. Se non è questa la scienza di Frankenstein...
L'ultima conferma è arrivata dall'Angelus di oggi, in cui il Papa (che, sia detto fra parentesi, era quello che in Italia non aveva libertà di parola) ha ripetuto e ribadito le solite posizioni
amare e servire la vita, dal suo inizio al suo naturale tramonto. E’ infatti impegno di tutti accogliere la vita umana come dono da rispettare, tutelare e promuovere, ancor più quando essa è fragile e bisognosa di attenzioni e di cure, sia prima della nascita che nella sua fase terminale.Come possa esistere vita umana prima della nascita è francamente difficile da comprendere. Ma quando si spacciano pensierini quotidiani per riflessioni filosofiche ogni mistificazione è possibile. Ma ancora più stridente è la contraddizione fra il rifiuto dei progressi scientifici nell'utilizzo dell'embrione per la ricerca, di contro all'accoglimento acritico di qualunque esperimento e intervento medico e artificale per mantenere "in vita" una vita che non è tale né forse lo è mai stata.
Vale per i malati terminali tenuti aggrappati a macchine sempre più sofisticate e anti-natuale; vale, ancor di più, per la neonatologia che promette di "salvare" non solo i bambini, ma persino i feti. Come hanno annunciato i primari di ginecologia e neonatologia di quattro università romane. Che, per i giornali italiani, sono diventati "i ginecologi": pochi esperti di parte (due università su 4 sono cattoliche, una è dell'Opus Dei) diventano i rappresentanti della comunità scientifica.
Ma un feto di 22 settimana che venga rianimato (anche contro la volontà della madre e del padre) che possibilità di vivere ha? Ma soprattutto che qualità della vita potrebbe teoricamente avere? Persino il comitato di bioetica consiglia, in queste condizioni, solo cure compassionevoli che accompagnino questa creatura verso una serena morte. Che senso ha accanirsi su un feto moribondo, attaccarlo a tubi e macchinari, prolungare la sua sofferenza e magari farlo durare settimane o mesi in più? Magari un feto senza capacità cerebrale, cieco, sordo e affetto da gravissime patologie. Se non è questa la scienza di Frankenstein...
Comments
Il tema che tratti qui è molto delicato.
Condivido il tuo giudizio sul prolungamento delle sofferenze e della qualità della vita dei feti malformati.
E credo anche che la 194 vada difesa con ogni mezzo, anche se sarebbero opportune campagne di sensibilizzazione alla contraccezione perché resti effettivamente un'ultima ratio.
Ma il problema del riconoscimento giuridico prenatale tocca anche altri aspetti. Per esempio, il riconoscimento da parte delle agenzie assicuratrici in caso di incidenti: da quale momento considerare il feto un bambino? Solo quando e' un potenziale nascituro? Per dei genitori che quel bimbo lo hanno cercato, quel bambino è reale da subito e ne seguono con affetto ogni momento dell'accrescimento, anche nel periodo in cui l'aborto è lecito.
Del resto, chi conosca una donna che ha visto naufragare in aborti ripetuti il suo desiderio di maternità, ne conosce anche la disperazione....
Allora, forse, dovremmo ripensare a definire il concetto di vita prenatale, senza lasciarla in mano solo ai clericali. E senza per forza dover mettere in discussione la legge sull'aborto, creando una società più giusta, dove l'aborto non sia il rimedio perché non si hanno i mezzi per sostenere una nuova vita. E creando uno stato sociale come si deve, con le necessarie strutture di sostegno alla maternità, anche per i disabili, perché quelle coppie che si sentono in bilico tra aborto terapeutico e il desiderio di veder nascere comunque il loro bambino, possano farlo. Ovviamente, questo tocca anche le politiche del lavoro, perché è impensabile che una mamma precaria possa godere delle assenze dal lavoro per assistere il figlio, mantenendo la paga....
Pura utopia?
La ributtante banalità del male.