L'eterno ritorno del marketing gay: l'euro rosa

È una specie di araba fenice, questo mitico marketing gay. Per l'ennesima volta ci troviamo a leggere sui giornali che i gay sono "consumatori perfetti" e che hanno "elevate disponibilità economiche", al punto che a Barcellona domani, lunedì 3 settembre 2007, va in scena una conferenza sul potere d'acquisto della popolazione gay, con la nascita della Camera di commercio gay e lesbica Iberica, che riunirà aziende e professionisti di Spagna e Portogallo come punto di riferimento del Sud Europa.

Ora, di fronte a queste notizie le mie reazioni sono due. Dal un lato percepisco evidentissima la riproposizione di un cliché pericolosissimo, quello del gay gaio, l'omosessuale ricco e gaudente che ha il solo problema di decidere come spendere i suoi soldi. Come se fossimo tutti stilisti, designer, architetti e dirigenti d'impresa. E invece ci sono migliaia di gay che fanno gli operai, gli impiegati, i commessi, gli insegnanti, gli spazzini, i cassieri delle Poste; o che sono disoccupati. E che non hanno un potere d'acquisto così elevato, specie se vivono in una grande città come Milano, dove si rifugiano tanti gay della provincia italiana.

D'altronde, come negarlo, è vero che noi gay probabilmente spendiamo molto di più, in proporzione rispetto alle persone omosessuali eterosessuali. O che spendiamo una parte più consistente delle nostre entrate: vuoi perché non abbiamo famiglia o non pensiamo di dover mantenere i figli, vuoi perché - se siamo in coppi - abbiamo sempre (si spera) due stipendi.

Se poi, come leggiamo su La Vanguardia e sul sito di Xarxagay, attirare l'attenzione delle aziende sulla clientela lgbt significa anche promuovere i diritti dei lavoratori lgbt all'interno di quelle aziende, allora la questione cambia aspetto. Nella nostra cultura politica, è ovvio, i diritti non discendono da una convenienza contingente, ma nascono prima. Eppure - è esperienza comune - ciò non basta a tutelare tutti. Negli Usa, ad esempio, la pressione della clientela gay è servita a spingere le principali aziende quotate a riconoscere benefici e assistenza ai dipendenti lgbt e ai loro partner, al di là delle legislazioni nazionali.

Se l'euro rosa - ultimo arrivato dopo il pink dollar e il pink pound - servirà anche a questo, forse potremo sorbirci con più pazienza le chiacchiere sui gay "clienti perfetti".

Comments

Unknown said…
C'è un refuso: "D'altronde, come negarlo, è vero che noi gay probabilmente spendiamo molto di più, in proporzione rispetto alle persone omosessuali."

E devi rispondere alla mia catena :-), grazie.
aelred said…
Sei il mio angelo custode :)
Risponderò
Anonymous said…
uh i gay hanno maggior disponibilità finanziaria degli eterosessuali? allora visti i salti quasi mortali che compagno e io (che per di più usciamo raramente) dobbiamo fare per pagare la rata del mutuo ventennale, questi poveri eterosessuali devono essere davvero alla fame allora....
Anonymous said…
"Pecunia non olet"

Del resto le società dei diritti, le società liberali, si sono costituite a partire da bisogno di espanzione dei mercati.

Questo è un poco protomarxismo d'accatto, ma più o meno funziona così.
Anonymous said…
per non parlare di tutti quei gay con un lavoro precario (ogni riferimento è puramente casuale...)

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